Oggi vorrei condividere con te una pagina dal mio diario danzante, sul mio primo incontro con quella che poi è diventata la mia maestra di danza indiana e le emozioni che ne sono derivate…
Da anni ormai praticavo le danze più diverse.
Mi tuffavo in corsi intensivi di balletto, danza contemporanea, danze mediorientali, teatro-danza, hip-hop… Ero avida di movimento, di linguaggi diversi da sperimentare sulla mia pelle e soprattutto di allenamento e sudore. Chi danza o pratica uno sport potrà comprendere quella necessità fisica di sentire il corpo disciplinato, di come a fine lezione quasi arrancando verso lo spogliatoio con il sudore che cola dalla fronte ci si senta come quando si prende una boccata di aria fresca in montagna: tutto ritorna al suo posto, la mente si quieta e il resto della vita può riprendere con tranquillità.
In questo senso ogni pratica corporea può diventare strumento di meditazione, un aiuto concreto per addomesticare la mente ipertrofica ed indisciplinata che tanto può affliggere quotidianamente la propria serenità: una lezione che avevo imparato dalla pratica regolare dello yoga e che tanto mi aveva aiutata nel saper trovare spazi di respiro anche in mezzo alla tempesta. Per questo motivo pensavo ormai da qualche mese di impegnarmi in un percorso per insegnanti di yoga, così da poter approfondire questa pratica e conoscere gli strumenti per trasmetterla anche agli altri.
Poi, una mattina di Luglio, ho repentinamente cambiato rotta.
Nella mia spasmodica ricerca di movimento ero infine approdata ad un seminario di danza indiana: conoscevo in parte già questa pratica ma non l’avevo mai affrontata con il rigore che solo un insegnante dal vivo sa trasmettere. Credevo, dal piedistallo della mia arroganza e dei miei anni di studio e allenamento, di poter affrontare qualsiasi disciplina corporea senza grosse difficoltà: dovetti immediatamente ricredermi.
Nuria teneva il tempo con i suoi bastoncini di legno ed ogni pulsazione era come una proverbiale bastonata zen al mio ego: mi ritrovai, di colpo, immersa in posizioni e movimenti a me totalmente sconosciuti eppure così intensamente familiari, come se sentissi di aver trovato infine quello che stavo cercando.
Niente del mio corpo e della mia attenzione potevano rimanere fuori dall’esecuzione del gesto: le precise geometrie del corpo, le posizioni delle mani, il movimento degli occhi… Ogni centimetro di me danzava, ed ogni pensiero o distrazione era inevitabilmente messo da parte. Il ritmo incalzante e la musica inebriante mi trascinarono verso un mondo che sentivo ricco di bellezza, come a spiare dalla serratura un giardino immenso di cui non si scorgono i confini.
A fine lezione un’onda di emozioni contrastanti mi travolse: mi sentivo sconfitta nella mia arroganza eppure in qualche modo più leggera interiormente, e soprattutto sentivo come un desiderio profondo di voler continuare, approfondire, conoscere quest’arte e studiare con questa maestra che aveva acceso questa scintilla dentro di me. Ricordo che ne parlai con lei, le dissi che il gruzzoletto che avevo messo da parte avrei voluto investirlo nel percorso per insegnanti di yoga, e lei con il suo solito sorriso mi disse: “Ma tu, devi danzare!”
Una settimana dopo inviai la mia candidatura per il percorso triennale dedicato alla danza indiana al Conservatorio di Vicenza. Fu l’inizio di un percorso che continua ancora oggi e di cui, come in quel giardino immaginario, non posso scorgere i confini: una complessità ed una bellezza che invece di scoraggiarmi mi invitano a proseguire con rinnovato ardore, in cui la danza e lo yoga si uniscono armoniosamente.